giovedì 28 febbraio 2008

A TRENT'ANNI DALL'APPROVAZIONE DELLA LEGGE 180 CHE CHIUSE I MANICOMI, UN ANGELO CUSTODE TRA I "MATTI"

di Rossella Mirra*



Parlare di salute mentale è complicato e comporta tanti interrogativi che non sempre hanno una risposta efficace. In tempi neanche troppo lontani da noi i “matti” per essere curati venivano rinchiusi nei manicomi che probabilmente rappresentano una delle tante zone d’ombra della nostra società civile: farmaci, elettroshock e trattamenti che di umano non conservano nulla, sono stati per anni l’unica “risposta” al disagio di tante persone.
C’è voluto del tempo ma con la legge 180/78, meglio nota come legge Basaglia, si è arrivati alla chiusura definitiva di questi luoghi di “cura”. Sono ormai passati trent’anni dall’approvazione di questa legge e ci sono stati sicuramente dei miglioramenti in molti aspetti del trattamento psichiatrico ma, come in tutte le cose, anche qui c’è il rovescio della medaglia:
la legge 180, per quanto nobile negli intenti, avrebbe bisogno d’integrazioni e modifiche soprattutto in materia di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e rapporti e sostegno alle famiglie degli utenti.
Se la chiusura dei manicomi ha portato a un cambiamento nell’approccio al trattamento psichiatrico, che si è indirizzato soprattutto al miglioramento della qualità della vita del paziente, dall’altro lato ha spesso lasciato le famiglie degli utenti completamente in balia di loro stesse e delle loro difficoltà.

Quello della famiglia è un aspetto piuttosto spinoso del problema e presenta molteplici sfaccettature ma quello che è certo è che la famiglia di un paziente con un disagio, soprattutto psichiatrico, deve essere sostenuta, contenuta, compresa e in ogni caso non abbandonata.
Con la legge 180 sono stati introdotti reparti psichiatrici negli ospedali di medicina generale, centri di salute mentale, case appartamento e centri diurni. La mia esperienza di psicologa volontaria si riferisce proprio a un centro diurno che frequento da ormai due anni.
Credo che a un qualunque interlocutore venga spontaneo chiedersi cosa vede un visitatore esterno che “s’avventura” in questo mondo. Ebbene si trova di fonte a persone che vivono…
Sembra troppo semplicistico ma è la pura e semplice verità.
Il paziente psichiatrico è senza dubbio una persona con dei disagi profondi ma che se adeguatamente aiutata con terapia farmacologia, psicologica e riabilitativa è in grado di vivere autonomamente e liberamente.




Una mattina qualunque al centro diurno e ti rendi conto di quanto è bello e gratificante aiutare queste persone. Il fatto di avere una competenza professionale è fondamentale ma non è l’unica variabile in gioco. Devi riuscire a calarti nel loro mondo senza lasciarti travolgere e capire ciò di cui hanno veramente bisogno in quel preciso momento. A volte anche solo una parola può aiutare a risolvere quello che sembra un ostacolo insormontabile. Per loro non sei solo una “dottoressa” ma spesso una confidente o una persona fidata alla quale chiedere aiuto. E’ difficile, è faticoso, ma quando vedi un piccolo miglioramento ti senti bene e sei orgogliosa di sentirti dire : “Sei il mio angelo custode”.

* psicologa.

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