
C’è voluto del tempo ma con la legge 180/78, meglio nota come legge Basaglia, si è arrivati alla chiusura definitiva di questi luoghi di “cura”. Sono ormai passati trent’anni dall’approvazione di questa legge e ci sono stati sicuramente dei miglioramenti in molti aspetti del trattamento psichiatrico ma, come in tutte le cose, anche qui c’è il rovescio della medaglia:
la legge 180, per quanto nobile negli intenti, avrebbe bisogno d’integrazioni e modifiche soprattutto in materia di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e rapporti e sostegno alle famiglie degli utenti.
Se la chiusura dei manicomi ha portato a un cambiamento nell’approccio al trattamento psichiatrico, che si è indirizzato soprattutto al miglioramento della qualità della vita del paziente, dall’altro lato ha spesso lasciato le famiglie degli utenti completamente in balia di loro stesse e delle loro difficoltà.

Quello della famiglia è un aspetto piuttosto spinoso del problema e presenta molteplici sfaccettature ma quello che è certo è che la famiglia di un paziente con un disagio, soprattutto psichiatrico, deve essere sostenuta, contenuta, compresa e in ogni caso non abbandonata.
Con la legge 180 sono stati introdotti reparti psichiatrici negli ospedali di medicina generale, centri di salute mentale, case appartamento e centri diurni. La mia esperienza di psicologa volontaria si riferisce proprio a un centro diurno che frequento da ormai due anni.
Credo che a un qualunque interlocutore venga spontaneo chiedersi cosa vede un visitatore esterno che “s’avventura” in questo mondo. Ebbene si trova di fonte a persone che vivono…
Sembra troppo semplicistico ma è la pura e semplice verità.
Il paziente psichiatrico è senza dubbio una persona con dei disagi profondi ma che se adeguatamente aiutata con terapia farmacologia, psicologica e riabilitativa è in grado di vivere autonomamente e liberamente.

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